sabato 5 gennaio 2013

Il Ballo delle Piume vince il Premio Giulitto












Si è tenuta l'8 Dicembre 2012 la cerimonia di premiazione del Premio Nazionale di Letteratura per l'Infanzia "Giacomo Giulitto - Città di Bitritto". La cerimonia di consegna dei riconoscimenti della più importante rassegna del genere nel Sud Italia ha visto premiati nella sezione libri per la primissima infanzia Ivano Baldassarre, autore de I baffi volanti, nella sezione prima infanzia Marco Lodoli con Gigi Baruffa, nella sezione per ragazzi Alberto Arato col Ballo delle Piume e, infine, nella sezione Libri di autori pugliesi, Paolo Comentale con George e Marco. La premiazione è stata preceduta da un suggestivo reading di brani delle opere vincitrici svoltosi nei locali del Comune che ha la sua sede nel castello svevo-angioino. Attori e musiche coordinati da Nunzia Antonino, Luigi Facchino e Gianna Grimaldi. Assegnati anche i riconoscimenti della giuria dei piccoli "Critici in erba", giunti alla designazione dei premi dopo un lungo lavoro di lettura e selezione svolto nel corso dell'anno scolastico. Il Ballo delle Piume è stato scelto anche dai piccoli critici che hanno incontrato l'autore Giovedì 7 Dicembre nell'auditorium dell'Istituto Comprensivo di Bitritto.

Thanatos, Athanatos: O morte vorrei...

Thanatos Athanatos, uscito nei giorni scorsi in formato elettronico presso Narcissus Selfpublishing, descrive l'attimo finale di una vita. Il momento  è misterioso, tremendo e possente al tempo stesso. Domenico Laghenati, musicologo, uomo dalla multiforme esperienza, lo affronta, solitario, attraverso brandelli di ricordi che si affacciano alla sua mente prima di perdersi nella morte.
Attraverso un mosaico sfaccettato, ostico a tratti, emerge poco per volta un filo rosso, la musica, che nel corso dell'esistenza del protagonista si è definito come ricerca, dolore, disperazione ma anche come gioia, meta, speranza.
Ora che Laghenati sta per arrivare al traguardo, che cosa succederà di lui? Che cosa rimarrà del suo lavoro, delle sue relazioni, dei suoi studi? Che cosa lo aspetta?
L'esito non è scontato, la risposta è totalmente incerta. Ma l'atteggiamento che ha maturato nei confronti della vita e dei suoi casi, contrassegna una visione del mondo che si dispiega poco per volta attraverso la rievocazione, sempre più frammentaria, sempre più pressante e sempre più rivelatrice.
Il libro, il quarto della Tetralogia (per sapere che cosa è la Tetralogia vai al sito www.aratoalberto.net ) suggerisce dunque una pista di meditazione sull'ultima tappa della vita dell'uomo. Dopo Il volo delle Api Bianche (sempre in libreria elettronica www.ultimabooks.it) e Thanatos Athanatos mancano ancora i due lilbri centrali: Angelica Vox e Misteri d'Amore (i titoli per ora sono provvisori).  I testi sono in scrittura e un giorno (speriamo) il progetto sarà completo.

Il ballo delle Piume

Leo ha 15 anni, un fisico sportivo e una lunga lista di dubbi e insicurezze. Federica, stessa età, al contrario sa esattamente cosa vuole: evitare la chiusura della scuola, una vecchia villa ottocentesca su cui pesano interessi dai risvolti poco leciti. L’edificio custodisce i segreti di un amore che dura dal 1840 e che ogni cinque anni viene rievocato nella notte del Ballo delle Piume. Una festa che tutti attendono. Anche Piermaria, che il ruolo di duro ce l’ha incollato sulla pelle e Kevin, che dietro una faccia d’angelo nasconde un animo violento e prevaricatore… Tra segreti inconfessabili, pestaggi, gelosie e primi turbamenti prende forma una storia dall’architettura affascinante, raccontata in soggettiva da una generazione alla ricerca della propria identità. Il Ballo delle Piume, di Alberto Arato per le Edizioni Lapis (2012) è un romanzo di formazione adatto a ragazzi e ragazze. Dove i nemici si trasformano in amici e l’indifferenza assume i contorni e le forme dell’amore.

Io sono Febbraio

Quando l'inverno non vuole mai finire e congela il cuore e l'anima degli adulti di una città sepolta nella neve e nel ghiaccio, bisogna fare qualcosa. Così Thaddeus, il protagonista del libro “Io sono Febbraio” di Shane Jones, edito per i tipi di ISBN Edizioni, decide di ribellarsi dichiarando guerra a Febbraio, uno spirito misterioso che si accanisce contro la popolazione vietando il volo di aquiloni e mongolfiere. In questa visionaria vicenda allegorica e dalla potente forza immaginativa, l'inverno è la stanchezza, il desiderio di abbandono, la volontà di cedere e di lasciarsi poco per volta congelare in un mondo freddo e senza speranza. Eppure sotto le ceneri cova un desiderio ardente che viene risvegliato da aromi e luci: straordinari i personaggi della 'ragazza che sapeva di miele e di fumo' e il sentore di menta che circonda la coppia di Selah e Thaddeus Lowe. Tutto è simbolo: i tentativi di volo librato, il viaggio di Thaddeus, l'incontro con Febbraio, la sua doppia, speculare esistenza.... Tutto è sfuggente, misurato, evanescente, mescolato a impressioni di incredibile vivezza e crudezza, come in un sogno che a tratti vira in incubo. Ma c'è una pagina che aiuta a decifrare la caratura complessiva di questo racconto terapeutico: è la “Lista di artisti che hanno creato Mondi Fantastici nel Tentativo di Curare Attacchi di Tristezza”. Tra gli altri, ai primi posti c'è italo Calvino, Gabriel Garcia Marquez e Jorge Louis Borges. Come a dire che le favole non sono semplici strutture narrative, come hanno voluto farci credere gli strutturalisti e i loro amici, che qui si possono identificare con sacerdoti strani che immolano la felicità sull'altare della cieca obbedienza a Febbraio. Bensì sono curative, umane e bisognose di calore: basta volerlo. In fondo Thaddeus riesce a sconfiggere Febbraio quando decide che la primavera sta arrivando, anche se tutto intorno a lui è ancora fosco cielo d'inverno. Io sono Febbraio è un libro da non lasciarsi sfuggire.

Be Safe: un libro che non passa inosservato

«La vostra ultima canzone - Il cammino del disertore - non passa inosservata», dice Maria, l'agente musicale di Oskar e Marka. Anche il libro in cui si narra la loro vicenda è destinato a non passare inosservato: Be Safe di Xavier Laurent Petit per i tipi di Rizzoli. Anzitutto per il tema: che cosa succede quando, un ragazzo in cerca di lavoro, arruolato in modo un poco canagliesco nell'esercito, viene spedito in una missione "di pace"? L'ambiente è una delle tante periferie desolate di una città di provincia degli Stati Uniti. Stabilimenti chiusi - l'industria, e quindi il lavoro, soprattutto per i giovani, si è spostato altrove - ragazzi disoccupati. Un giorno Jeremy viene accalappiato da due soldati in scintillante divisa che gli chiedono: «Vuoi un lavoro?» Lui accetta e si ritrova abile, arruolato. Qui cominciano i problemi. Al padre per poco non viene un colpo, e si intuisce che sotto questa disapprovazione c'è qualcosa che non viene subito svelato.  Jeremy si rivela immediatamente un tiratore scelto e invece di far ponti (motivazione con la quale si era arruolato) finisce nelle truppe scelte superspecializzate. A questa vicenda se ne lega un'altra, quella di Oskar, il fratello minore di Jeremy,  che aveva condiviso con lui, prima della partenza,  la passione per la musica. Conosce una ragazza, Marka con la quale, per gioco fonda un gruppo rock-pop-country-blues.... insomma un duo canoro. Compongono canzoni, e sotto la pressione della situazione dei loro fratelli - anche quello di Marka, Jeff, disoccupato, si è arruolato - trovano un filone nuovo. Ispirati dalle e-mail che arrivano dal fronte lontano, tentano, con un grande successo - di combinare i terribili racconti ivi contenuti con il groviglio di emozioni e sensazioni che innerva la loro vita di adolescenti affacciati al mondo.
L'anticonvenzionalità della riflessione sulle "missioni di pace" è l'aspetto più stimolante del libro. Un inferno nel quale non pochi 'boys' - così sono chiamati i soldati americani coinvolti - perdono il lume della ragione. Un inferno nel quale essi si ritrovano non per scelta consapevole, ma attratti da una propaganda illusoria e in fin dei conti reazionaria.
Subito dopo viene la freschezza dei personaggi che rimangono a casa e attendono notizie dal fronte, Oskar e la sua ragazza, che vivono questa esperienza in modo un po' nostalgico e retrò, stile anni sessanta, con il supporto della musica, del canto. Come non farsi venire in mente il Vietnam, Bob Dylan, Joan Baez, i garages in cui fare musica e le proteste degli studenti? E il Vietnam ritorna prepotentemente nel racconto, attraverso il padre di Jeremy e Oskar, quasi come una ferita in suppurazione che non si è mai rimarginata nell'immaginario americano (ma direi occidentale)  e che ritrova schemi, svolgimenti e risultati in tutti i successivi impegni militari dell'esercito statunitense. Un tentativo di svelare di che sangue grondan gli scettri adatto a un pubblico giovane che non sa più.
Ancora una parola sull'anticonvenzionalità di questo romanzo legata ai tempi odierni: non è oggi di moda parlare di pacifismo, l'azione militare si è sdoganata nell'immaginario attraverso il camuffamento con le 'missioni di pace'. Ma il libro smaschera l'ipocrisia: la guerra è guerra, con qualsiasi nome essa venga chiamata. 

Il volo delle Api Bianche

Anno 1212. Che cosa spinge ventimila bambini di Francia ad abbandonare le famiglie, le case, i villaggi per affrontare un viaggio verso Gerusalemme senza organizzazione, senza consenso, senza prospettive concrete? Il dilemma ha appassionato gli storici di ogni epoca. Schwob,  nel 1895 definiva questi "Pueri sine rectore, sine duce" - così descritti dalle cronache dei tempi - 'uno sciame di api bianche'.
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Il volo delle api bianche' parte da questo spunto storico per affrontare dall'interno il viaggio di crescita tra ambiguità e mezze verità; culture che si incontrano e collidono, illusioni e amare disillusioni. Tutto è visto attraverso gli occhi dapprima infatuati e poi via via più disincantati di uno dei protagonisti della crociata dei bambini. 
Sono felice di annunciare la pubblicazione in formato elettronico del libro a cui tengo di più, quello che mi è costato maggiori sacrifici e che personalmente considero il più importante.
 "Il volo delle Api Bianche"  si può trovare nei negozi (virtuali) di e-books.
Perché in formato elettronico? Perché ho voluto tentare una strada nuova. Personalmente considero l'editoria elettronica una meravigliosa forma di democrazia e un modo per vivificare con sangue nuovo l'asfittico panorama librario italiano, Un mercato dove i libri possono farcela 'da soli': se piacciono vanno, si diffondono, altrimenti muoiono senza mandare nessuno in rovina.
In più mi pare il modo ideale per fare di nuovo un po' di sperimentazione letteraria. Purtroppo le regole del mercato librario  tradizionale pongono talmente tanti diaframmi tra l'autore e il suo pubblico da far smarrire la possibilità di tentare strade nuove. Si pubblica solo quello che può vendere. Ebbene in formato elettronico non è così. E-pub quindi NON come soluzione di ripiego ma come stimolante sperimentazione, volontà  di mettersi in gioco. Il volo delle api bianche si trova già presente in http://www.ultimabooks.it/ Basta digitare il nome (Arato) o il titolo. Le belle e meditative illustrazioni sono di Serena Arato. A breve il book-trailer.

Bulli che volano...

Se si vuole un libro sul bullismo che non conceda spazio né al vittimismo e neanche al compiacimento del raccontare l'aguzzino, allora bisogna leggere “Camminare, correre, volare” di Sabrina Rondinelli per EL. Asja, la protagonista ha quattordici anni, l'aria spavalda di chi vive troppo presto e troppo in fretta una maturità che non possiede. Abita in un quartiere popolare con una madre sempre depressa, esce di nascosto, ruba nei centri commerciali. A scuola va male e si accanisce contro una compagna, Maria, troppo studiosa e troppo per bene. Asja è una ragazza difficile. Abituata a non contare su niente e su nessuno, fa la dura e cerca il consenso delle amiche solo per nascondere la sua fragilità. Nel silenzio di tutto quello che circonda le due ragazze, amici, scuola, genitori, troppo occupati per accorgersi di qualcosa, tra lei e Maria la tensione cresce di giorno in giorno, fino a trasformarsi in violenza. La bolla esplode e Maria riceve finalmente l'aiuto di cui ha bisogno, ma continua a sentirsi umiliata e indifesa. Da parte sua Asja si ritrova sola, abbandonata dalle amiche e messa alle strette dagli adulti. Comincia cosi per entrambe una ricerca della propria identità che prende strade differenti. Per Asja è la scoperta di dover affrontare i punti oscuri della propria esistenza personale, per Maria la necessità di superare ostacoli che si è posta lei stessa e che le impediscono di essere a proprio agio in mezzo agli altri. Se un merito c'è in questo libro è una fedele comprensione del mondo dei ragazzi preadolescenti: sprezzanti all'apparenza e fragili nella sostanza, disponibili a trovare strade e deboli nel cercarle. Non scontato (nella realtà) il buon esito finale: le due protagoniste ce la fanno ma quanti potenziali giovani protagoniste (e protagonisti) di storie simili cedono le armi e si lasciano travolgere dalla difficoltà di crescere.

L'illusione del controllo

Storicamente la burocrazia nasce e si sviluppa quando un'istituzione vuole imporre una forma di controllo sui processi e sulle procedure che caratterizzano il suo funzionamento. In quest'ottica due sono le parole nemiche della burocrazia: approssimazione e improvvisazione. Nella mentalità burocratica tutto deve essere vagliato, previsto e sottoposto a norma; in altre parole descritto e ottimizzato.
Questa mentalità ha un corrispettivo di tipo 'economico': si accompagna infatti alla cultura dell'impresa, in quell'area dell'organizzazione del lavoro che vede nella suddivisione del processo e nella specializzazione dei compiti la panacea per raggiungere livelli di produzione concorrenziali e a basso costo, indipendentemente dagli effetti che tale organizzazione ha sui destinatari finali, cioè gli attori materiali del processo produttivo.
Con la burocrazia e l'organizzazione aziendale di tipo rigido, dunque, le 'aree grigie' delle procedure, ossia quelle che per loro natura tendono a svilupparsi all'insegna del 'non normato', vengono sempre più limitate fino a giungere all'annullamento.
La mania dilagante del controllo che nell'organizzazione moderna dei processi di produzione ha dato origine alle pratiche aziendali delle certificazioni di qualità e nell'organizzazione della vita sociale è diventata burocrazia, pian piano e surrettiziamente è penetrata in molti ambiti e ha influenzato in modo consistente anche campi nei quali la realtà organizzativa richiede parametri e culture completamente diverse: pensiamo ad esempio l'ambito educativo e più specificamente quello scolastico.
A ben guardare, già dall'ideazione dei progetti di potenziamento cognitivo strutturati e graduati (pensiamo ad esempio ai molti laboratori cognitivi sorti nelle scuole per ovviare al problema del recupero degli alunni svantaggiati) fino ad arrivare all'ultima idea di curricolo, si può notare che l'ideologia di fondo soggiacente a tutto il fenomeno sia il fatto che noi possiamo effettivamente esercitare un controllo efficace sul processo di apprendimento e più in generale sul processo educativo.
Ecco dunque nascere percorsi strutturati per fasce d'età, tassonomie sempre più precise che, è vero, si sono spostate dai contenuti alle competenze ma che di fatto insistono sempre su un principio di fondo che cioè tutti debbano riuscire a fare le stesse cose nello stesso tempo e alla stessa età.
È realistica tale prospettiva? Nel momento in cui il dibattito pedagogico (nato dagli ultimi studi delle scienze cognitive) pone l'accento, ad esempio, sull'inefficacia della strutturazione per classi di età sulle quali è basata la nostra scuola e sulle differenze individuali di maturazione cognitiva, ha senso, ad esempio, proporre livelli di competenze standardizzati da misurare con prove oggettive (cfr. le prove INVALSI) che devono funzionare allo stesso modo su tutto il territorio del regno, per tutte le scuole, le classi e gli studenti? È utile pensare alla scuola come a un'azienda il cui prodotto sia quantificabile in risultati scolastici, merce di scambio su cui, ad esempio, in prospettiva basare i criteri per i finanziamenti?
La questione non è oziosa perché sottende, oltre a un'illusione del controllo delle variabili dell'apprendimento che persino un principiante sa essere una chimera, anche una visione del mondo basata sull'idea di uniformazione piuttosto che sull'idea di diversificazione.
È chiaro che una verifica del lavoro svolto va fatta, che individuare linee di programmazione comune è necessario, che definire mete da raggiungere è utile, purché tutto questo non diventi cifra fredda, azione meccanica di riscontro e dimentichi il cuore stesso della formazione culturale, un processo cioè con moltissime variabili impossibili da controllare.
Tutto questo mentre la cultura nel suo vivace e tumultuoso svilupparsi sta prendendo direzioni ben diverse. Il sapere si sta organizzando in modo sempre più frammentario e aperto, le sintassi mentali dei nostri alunni si formano, al di fuori della scuola, in modi che spesso sono totalmente incompatibili con le nostre forme di programmazione a lunga e lunghissima scadenza, e noi insegnanti rischiamo di diventare, come ben descrive Bauman, degli artiglieri in stile bellico 'prima guerra mondiale'. Prepariamo con cura il tiro, prevediamo la traiettoria, calibriamo accuratamente i nostri strumenti didattici ma, quando spariamo, il bersaglio, fluido e mobilissimo, è già molte miglia distante.
È necessaria una svolta. Occorre rinunciare all'illusione del controllo, è necessario probabilmente mettere in discussione il concetto stesso di curricolo, provare a ripartire a programmare in modo diverso i percorsi didattici, occorre accettare la logica della diversificazione, immaginare la scuola come ambiente di studio e formazione basato sulle possibilità reali degli allievi e non su quelle presunte dalle tassonomie, valorizzare l'aspetto socializzato della cultura e della formazione, riportare una dimensione culturale vera, fatta di dibattito e di dinamismo.
In realtà, a ben guardare tutte queste affermazioni non sono una novità nella pratica didattica quotidiana. Al di là del burocratismo di facciata (programmazioni, procedure, verbali ecc.) la realtà concreta della maggior parte degli insegnanti è già adattamento, disconoscimento delle tassonomie (quante sufficienze sono vere sufficienze?), interventi di individualizzazione dei percorsi.
Sarebbe interessante dare a tutto questo valore di riflessione didattica e pedagogica, per poter porre al centro del lavoro dell'insegnante una discussione seria sui fondamenti dell'apprendimento piuttosto che le terribili e sterili disamine procedurali sui criteri per poter determinare con precisione ed esattezza quanto una competenza sia stata raggiunta e se il livello sia in sintonia con le indicazioni del curricolo, che diventa in quest'ottica una gabbia da cui è difficile, se non impossibile, uscire.

L'isola dei Liombruni

L'Isola dei Liombruni di Giovanni DeFeo per i tipi di FAZI Editore è la sorpresa di questa estate. Libro visionario e complesso, ha una scrittura di difficile decifrazione. Un primo sorprendente contrasto è dato dalla scrittura, realista, che disegna un'atmosfera completamente fantastica. L'isola dei Liombruni infatti evoca i movimenti onirici degli adolescenti colti nel difficile momento del trapasso dallì'infanzia alla vita adulta.
I riferimenti psicologici sono evidenti: il desiderio di libertà, fino al punto di sognare di uccidere gli adulti e il destino a prenderne il posto in una visione ciclica del mondo e della vita sono temi classici legati al romanzo di iniziazione.  Tuttavia la trattazione è estremamente originale, come originale è da un lato la crudezza di rappresentazione del mondo e dall'altro l'estremo realismo delle situazioni descritte.
L'isola risulta dunque un plausibile spaccato di pulsioni adolescenti e la sua estate eterna, destinata a rivivere ogni vent'anni nei sogni dei ragazzi che vi trascorrono le vacanze, è l'estate della tensione tra la voglia di crescere e il desiderio di rimanere bambini.
Le leggi dell'isola dicono che tutto ciò che si sogna è reale; che le parole "mamma" e "papà" sono proibite; che gli Alti sono nemici e che nessuno può uccidere i liombruni. Sono leggi da rispettare con un segreto brivido di paura, come quello che scuote dal sonno Smiccio e Zenzero, all'alba del loro quattordicesimo compleanno.
Il mondo, che ricorda le atmosfere del fortunato capolavoro di Golding Il Signore delle Mosche  pur nella sua mediterraneità, è un mondo fantastico e oscuro in cui gli Alti non sono che gli adulti, sopravvissuti alla notte di violenza della Carnara. In esso vi sono ritualità emozionate e conturbanti: i Certami sono sfi­de sanguinose, i ragaz­zi possono diventare potenti Baroni e le ragazze bel­le e perfide Capere, signore dello Struscio serale e di amori brevi e intensi come fiammate.
Ma attenzione: tutto assume ben presto le fattezze di un sogno collettivo destinato a incrinarsi non appena si scoprono passioni più adulte: l'amore proibito (perché continuo e VERO) di Smiccio per Cecella, la gelosia, la crudeltà, l'avidità.
Così si celebra il tramonto del sogno: un declino che sfocerà (forse) in un'ultima, prevedibile  e inevitabile Carnara.

Paura di imparare?

Che cosa impedisce ai bambini intelligenti e curiosi di utilizzare  a scuola le capacità che indiscutibilmente possiedono? La tesi di Boimare, educatore in servizio nelle zone più disagiate di Parigi è che l'apprendimento scatena paure che disorganizzano la mente e impediscono ad essa di funzionare correttamente. A questo si aggiunga la questione della valutazione, del confronto con l'autorità, della necessità della prestazione e della solitudine del discente nei confronti dei contenuti che deve imparare, e il quadro delle difficoltà diventa quasi insormontabile.
Quale via per ovviare a queste problematiche? Attraverso il ricorso a esperienze concrete e personali di gestione della classe e di percorsi tesi a sollevare la paura dell'apprendere, l'autore indica un percorso didattico originale e fuori dagli schemi. Secondo lui il desiderio di imparare può liberarsi dalle paure quando vengono risolte le tensioni cognitive mediante il potenziamento della facoltà immaginativa con l'utilizzo di un armamentario simbolico tratto dalla tradizione mitica e letteraria.
Una riflessione utilissima per ripensare l'insegnamento in favore di tutti quelli che non appaiono, che non riescono  e che spesso si trovano ai margini della vita scolastica.
Serge Boimare
Il bambino e la paura di apprendere
Edizioni scientifiche Ma.Gi.

La generazione della diffidenza

Esiste un malessere delle relazioni educative che mette in discussione la possibilità di fare educazione (almeno nelle modalità della tradizione)? Viene infatti da chiedersi se sia ancora possibile stabilire scambi educativi intesi come rapporti di lunga durata o di coinvolgimento effettivo. In generale si ha l'impressione che l'atteggiamento giovanile verso il mondo degli adulti (peraltro ricambiato) sia improntato alla diffidenza o all'incapacità di comprendere il significato dell'educazione.
Così molti si pongono queste o simili domande:

  • Gli adulti vengono davvero visti come un pericolo da cui guardarsi?
  • La fiducia nei loro confronti è davvero così compromessa?
  • Quali sono le cause di questo atteggiamento?
  • Perché è difficile parlare con le classi, e individualmente con gli adolescenti?
  • Quale livello di interazione reale, al di fuori dei ruoli assegnati è ancora possibile creare?
  • Quali strategie occorrerebbe ideare per uscire da questo stallo?
Tutte queste domande si fanno via via più pressanti a mano a mano che si riscontra un blocco sempre maggiore nella relazione educativa tesa tra il rifiuto palese (o morbido) e l'indifferenza di chi non comprende più il linguaggio dell'interlocutore. Guarda l'educatore che tenta ancora di comunicare come un vetusto rimasuglio archeologico e si chiede: "Che cosa sta dicendo? Non capisco".

Il ragazzo fantasma

Raro è che un autore come Melvin Burgess manchi il centro, e anche questo libro (uscito in Inghilterra nel 2000 ma in Italia editato solo ora per i tipi di bohemracconta) è un colpo da maestro.  Il libro, intitolato Il ragazzo fantasma racconta di un ragazzo, David, considerato 'borderline' dai servizi sociali, dagli insegnanti e da quanti si occupano di lui. Situazione familiare difficile, madre che si è allontanata dalla famiglia, padre distante, assente anche se affettuoso, ripiegato sul suo dolore; David subisce il fascino di una grata di aerazione che si affaccia nella sua stanza: si infila dentro per carpire i segreti della sua casa e lì, nel dedalo intricato dei tubi fa un incontro agghiacciante. La vicenda si snoda poi nel definirsi di un rapporto con un anziano vicino di casa,  proteso verso la morte ma impossibilitato a compiere il gran passo. Ingredienti difficili questi, l'argomento del morire, del diventare vecchi, del perdere la coscienza di sé, che la letteratura per ragazzi ha sempre cercato di evitare con cura, o al massimo ha affrontato con una notevole dose di retorica. Eppure qui non c'è traccia di melodramma, né di necrofobia: al di là della vicenda personale del ragazzo protagonista, che deve affrontare delle ingiuste accuse di violazione di domicilio, di teppismo e di atti di vandalismo c'è la realtà della vita: invecchiare può essere anche dolce quando si hanno molti ricordi da far fruttare così come  la perdita può diventare risorsa per chi invece è orientato a dimenticare tutto nel segno della rabbia e della sfida al mondo. Un libro da leggere e da far leggere assolutamente.

Cambia Menti

Nell'insegnamento occorre un profondo cambiamento di prospettiva per fare un salto di qualità che ci consenta di interpretare una didattica non al rimorchio dei mutamenti che stiamo vivendo (non essere cioè il tender di una locomotiva che si aggrappa disperatamente al trainante cercando di non sganciarsi) bensì interprete e stimolo critico. Se è vero che ogni media performa la sintassi mentale dei suoi fruitori, oltre che esserne originato, allora c'è una duplice alternativa che si presenta a noi come educatori:

Strategia correttiva L'insegnamento deve correggere le problematiche che le novità comportano. Molti pensano che l'utilizzo dei sistemi mediatici comporti la destrutturazione di abilità di base, l'atrofizzazione progressiva di operazioni cognitive.... in realtà si ha la sensazione che uscendo dalla prospettiva di un modello di sapere da acquisirsi in modo tradizionalmente curricolare, l'unico rischio che si corre è quello descritto da Augier con il concetto di oligarchia planetaria (il riferimento è di tipo politico: “Il rischio: è quello di una disuguaglianza inimmaginabile oggi, perché riguarda sopratutto la conoscenza, tra quelli che saranno alla punta del sapere e quelli chiusi in una permanenza del non sapere”.

Strategia di anticipazione Se vogliamo prendere coscienza del nuovo che cresce, dobbiamo affermare con forza che occorre un cambiamento di rotta e che una didattica basata su vaghi criteri di merito, di ritorno al rigore e di misurazione oggettiva di saperi che non servono più a nessuno ecc. oggi non solo è del tutto fuori luogo ma è anzi nociva per più di una ragione, non solo intrinsecamente didattica ma financo sociale. Occorre assumere una prospettiva diversa, mettendo in discussione alcune basi di fondo del nostro pensare e quindi del nostro operare.

La prima necessità è l'elaborazione di un nuovo modello di sapere (non nel senso dei contenuti) che abbia alcune caratteristiche ben precise:
- ipertestuale/frammentato invece di sequenziale/strutturato
- funzionalizzato invece di strumentale
- decurricolarizzato invece di curricolarizzato
- cognitivizzato invece di strutturale (es della grammatica cognitiva)
- inferenziale invece di sillogistico
- con valenze concrete invece che esclusivamente teorico

La seconda è la progettazione di un nuovo modello di apprendimento che tenga conto di:
- tempi brevi
- procedure di conferma
- schematizzazione spaziale

Insomma, una nuova stagione di ricerca didattica che vada nel senso della comprensione precisa di quei cambiamenti sopra esposti e si apra a una prospettiva autenticamente cognitivista, quella cioè che ragiona sui processi retrostanti alle operazioni cognitive.

Il buco nel muro

Il buco nel muro è un testo da poco uscito per i tipi di Effatà Editrice. Noto in tutto il mondo, arriva finalmente in Italia, pressoché ignorato da tutte le grandi case editrici 'che contano'. Per fortuna c'è ancora qualcuno attento alle novità e a ciò che 'bolle in pentola'. Il libro racconta gli esperimenti di apprendimento 'minimamente invasivo' effettuati dall'organizzazione di Sugata Mitra (l'autore) nei luoghi più poveri dell'India. I risultati sono stati sorprendenti: in brevissimo tempo i bambini, digiuni di informatica e addirittura, in molti casi, analfabeti, hanno imparato ad usare il computer con estrema facilità.
Il metodo dell'apprendimento minimamente invasivo si basa infatti sulla collaborazione tra i ragazzi che apprendono e insegnano allo stesso tempo, ed è diventato un caso didattico che mette in discussione l'organizzazione complessiva dell'apprendimento 'formale' praticato nelle scuole di tutto il mondo. La prospettiva è interessante: quale nuovo ruolo si profila per un insegnante, se è dimostrato che i moderni mezzi di trasferimento dei contenuti possono avviare processi di apprendimento di tipo autonomo con risultati del tutto apprezzabili?