Esiste un
malessere delle
relazioni educative che mette in discussione la possibilità di fare
educazione (almeno nelle modalità della tradizione)? Viene infatti da
chiedersi se sia ancora possibile stabilire scambi educativi intesi come
rapporti di lunga durata o di coinvolgimento effettivo. In generale si
ha l'impressione che l'atteggiamento giovanile verso il mondo degli
adulti (peraltro ricambiato) sia improntato alla
diffidenza o all'incapacità di
comprendere il significato dell'educazione.
Così molti si pongono queste o simili domande:
- Gli adulti vengono davvero visti come un pericolo da cui guardarsi?
- La fiducia nei loro confronti è davvero così compromessa?
- Quali sono le cause di questo atteggiamento?
- Perché è difficile parlare con le classi, e individualmente con gli adolescenti?
- Quale livello di interazione reale, al di fuori dei ruoli assegnati è ancora possibile creare?
- Quali strategie occorrerebbe ideare per uscire da questo stallo?
Tutte queste domande si fanno via via più pressanti a mano a mano che si
riscontra un blocco sempre maggiore nella relazione educativa tesa tra
il
rifiuto palese (o morbido) e l'
indifferenza di
chi non comprende più il linguaggio dell'interlocutore. Guarda
l'educatore che tenta ancora di comunicare come un vetusto rimasuglio
archeologico e si chiede: "
Che cosa sta dicendo? Non capisco".
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